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MOSTRE

LISBONA

- Lo spirito di Lisbona sopravvive ed è lo spirito che rende eterne le città […]  Basta che Lisboa sia semplicemente quello che deve essere: colta, moderna, pulita, organizzata. Senza perdere nulla della sua anima –  Con queste parole il premio Nobel per la letteratura, il portoghese José Saramago descrive la Lisbona di oggi. Identica, nelle sensazioni che regala, a quella che è sempre stata nonostante la modernizzazione e i cambiamenti architettonici che negli ultimi anni l’hanno caratterizzata. Le fotografie di Luciana Galli ci portano a percorrere in maniera lineare e imprevedibile le modernità e i simboli eterni della città di Pessoa. Una Lisbona capace di essere tante città al contempo: all’avanguardia e mistica, innovativa ed evocativa.Questo percorso fotografico prova a raccontare tutte le anime della città, tutte le “persone” che Lisbona riesce a essere. Sulle tracce dell’eteronimia pessoana sembra quasi di poter leggere in queste immagini tutta l’impossibilità dell’essere univoco. Lisbona parla con accenti visuali sempre eterogenei, mostra di sé spigoli taglienti e morbide rotondità senza mai però perdere la sua identità specifica. (Massimo Lafronza, invito alla mostra, 11 settembre 2009)

Lisbona, l’icona della città d’inquietudine
Le immagini della capitale portoghese nelle foto di Luciana Galli al BLUorG
Pietro Marino su La Gazzetta del Mezzogiorno, 26 ottobre 2009

Bandiere incrociate del Portogallo si parano solenni nella galleria barese BLUorG di Giuseppe Bellini & famiglia.
Conferiscono quasi crismi di ufficialità, col patrocinio del console onorario portoghese, alla mostra di fotografie su Lisbona, scattate da Luciana Galli.
La fotografia ha rivelato da tempo di non essere registrazione meccanica-chimica di realtà esterna, ma linguaggio a tutti gli effetti. Con tutti i diritti di scelta connessi per il suo autore. Così la fotografa barese di lungo e autorevole corso, impone il suo ésprit de géomètrie, la predilezione per i rigori di ri-costruzione architettonica degli spazi, la concezione del colore come nitida – quasi mentale – definizione di campi, sugli stereotipi dell’immaginario turistico: il folclore malinconico, tra suoni di fado e sentori di baccalà dell’Alfama, lo scosceso quartiere medievale, le pulsazioni della Baixa, la città bassa con le tracce delle inquietudini di Pessoa, le squisitezze delle piastrelle di ceramica, gli azulejos, l’epica del monastero manuelino di San Jeronimo e della torre di Belèm che respira salsedine…
L’Alfama e gli azulejos appaiono anche in queste fotografie. Ma il primo rivela un fianco audacemente ristrutturato e tinteggiato in rosso, i secondi si fissano come immagini scorrenti su una parete-schermo, così come i volumi plastici dei ricordi delle imprese di Vasco de Gama. E il mitico tram 28 che sferraglia sui tornanti della città vecchia è ripreso come fermo-immagine di fantasmi della vita quotidiana.
La luce metallica dell’Atlantico si distende invece sulla Lisbona di Luciana Galli, esaltata dall’alluminio su cui sono stampate le foto, quasi dei pezzi unici.
Definisce con esatte fughe di linee, con ritmi di curve, attraversamenti di diagonali, i punti sospesi e i moli protesi fra acque fredde e cieli pallidi. Indugia sulle gradinate avvolgenti e le superfici cromate della città modernizzata, fra stereometrie di marmi nel Parco delle Nazioni e festosità pop nelle stazioni del metrò e nei palazzi postmoderni. Emerge sulla vista del Barrio Alto dal cerchio di ferro Liberty dell’elevador di Santa Justa.
Sfinisce in miraggi al limite del trompe l’œil, con il finto panorama che sembra portare l’oceano nell’Acquario e i busti solitari contro le vetrate del museo Gulbenkian.

Lisbona, lo sguardo diverso della Galli.
Negli scatti una città moderna, lontana dagli stereotipi della saudade
Antonella Marino su La Repubblica, 28 ottobre 2009

Da Lisbona a Bari, passando per Milano. Dopo una prima tappa nel capoluogo lombardo, il reportage fotografico dedicato a Lisbona da Luciana Galli approda da BLUorG. In galleria si parano trenta stampe lambda di uguale formato (46X70) che la fotografa barese ha realizzato circa un anno fa nella capitale portoghese, tradotte poi in una mostra itinerante. Quello che colpisce ad un’occhiata d’insieme è soprattutto la pulizia formale e la luminosità di queste foto, accentuate dal rigore del supporto in plexiglas.
Lo sguardo di Luciana Galli ci restituisce dunque di Lisbona una visione razionale e moderna, un po’ lontana dal senso di mancanza e di saudade, permeata di malinconica utopia, consegnataci da maestri come Pessoa o Wenders. Questa Lisbona è una città ordinata ed efficiente, colta con tagli aerei e cura dei dettagli attraverso alcuni luoghi del suo presente. Dal Parco delle Nazioni all’Oceanario, dalla stazione centrale al mercato o al lungofiume, le inquadrature si soffermano con lucidità su particolari architettonici, strutture, griglie, geometrie sospese tra mare e cielo. Espressione di un’identità urbana molteplice capace di coniugare il peso del passato con la volontà del futuro.

Lisbona vista dall’obiettivo di Luciana Galli
Marilena Di Tursi sul Corriere del Mezzogiorno, 30 ottobre 2009

Immagini nitide che documentano una città ai confini estremi dell’Occidente europeo di cui si percepisce soprattutto il silenzio. E’ la Lisbona di Luciana Galli, presentata nella personale alla galleria BLUorG di Bari
dopo essere stata  ospitata a Milano nel chiostro della Società Umanitaria (la mostra in entrambe le tappe è sostenuta dal consolato onorario del Portogallo di Bari). Una città sorpresa da uno sguardo secco senza sbavature emozionali, uno sguardo trasversale rivolto ad una realtà dalla quale la fotografa barese, per dirla con Barthes, si fa pungere. Della capitale lusitana cattura elementi identitari come le famose piastrelle blu e bianche, gli azulejos, o il tram che attraversa la città, componenti peculiari del paesaggio urbano che provvede ad ingrandire in modo da decontestualizzarle. In altri casi si sofferma sulle atmosfere di Lisbona, su quel mood malinconico più volte celebrato dalla letteratura da Saramago a Pessoa, che la Galli va a cercare tra il fiume e l’oceano, dove il Tago e l’Atlantico diventano una sola cosa e dove la dimensione orizzontale del panorama suggerisce la perdita di confine, stempera i limiti delle cose e aiuta a perdersi tra il cielo e l’acqua. Luoghi dove un magico controluce può trasformare gli uomini in sagome scure, le scale in piatte strisce di cemento sottratte ad una coltre di sabbia e i colori in un palpitante e morbido bianco/nero.
Ma non c’è solo la Lisbona dei luoghi più abusati, c’è anche la nuova città, quella dell’Expo con le sue ardite architetture colte in scatti dove l’assenza umana è compensata da un’eloquente messa a fuoco degli avveniristici edifici per una discesa nel reale vigile, sebbene tarata su di un occhio interiore.

SEGNALIBRO

Amor di Segnalibro
Pietro Marino su La Gazzetta del Mezzogiorno, 15 maggio 2003

Chi ama la lettura, chi ha con i libri un rapporto non occasionale, non da fast food, un appuntamento sistematico, non può fare a meno del segnalibro: ovvero quel fustellino che viene messo fra le pagine ad indicare la tappa di percorso compiuto. Quindi funziona anche da promemoria delle emozioni o riflessioni raccolte (ma c’è chi ricorre sbrigativamente all’orrenda pratica delle orecchiette, una forma di violenza e di tortura cartacea). Peraltro, la consuetudine pratica induce spesso ad un rapporto di culto, simbolico e totemico con gli oggetti: oggetti d’affezione, li chiamava Man Ray.
Anche la precaria linguetta di carta o di cartone che ha sostituito nastri e cordoncini di un tempo, tende ad assumere una sua qualità estetica. Viene a far parte di quel sistema di comunicazione visiva al cui centro c’è ancora il libro, sotto specie di oggetto del design.
Un sistema di cultura grafica che ha una lunghissima tradizione, dai tempi della manualità (pensare ai codici miniati) al Bauhaus, per dire.
Poi l’economia di massa, che regola anche il mercato del libro, ha finito per trascurare la qualità degli accessori (quasi scomparsi, per esempio, gli ex libris, i marchi che segnavano la personalità di possesso): salvo che per operazioni di nicchia, come i gadget raffinati, quando non scadono nel kitsch, nei bookshops dei grandi musei.
Questi pensieri sparsi mi sono sollecitati da una singolare mostra in corso presso la Libreria Feltrinelli di Bari. Una mostra di segnalibri, appunto: raccolti in ordinate serie dentro cornici, come quadri. Quasi a rivendicare la loro appartenenza al sistema dell’arte. Ma quel che conta è la novità dell’invenzione, nata da una costola che non è quella specifica del design grafico. Autrice ne è, infatti, Luciana Galli, che di professione è fotografa. Ben nota, non starò a ricordare le sue numerose prove: mostre, libri, portfolios e, da qualche tempo, cd multimediali e interattivi. Come quel Bari type di grande successo, giunto alla terza edizione, che propone diverse sequenze di immagini inedite della Città, e Pixel di Puglia.
Luciana è una pioniera della fotografia digitale nella Regione. La prima forse, certo la più sistematica nello sperimentare le potenzialità del computer come manipolatore e moltiplicatore di immagini, creatore di strutture e campi nuovi di visione. L’interesse della Galli si è concentrato sugli effetti di ordine gestaltico, per così dire: ritmi seriali, ripetizioni dissociazioni rotazioni (ricordo una sua personale di un paio d’anni fa presso l’Alliance di Mimmo D’Oria).
Da qui un campionario di articolate soluzioni che sfruttano la dimensione lunga e stretta del segnalibro, la sua figura geometrica di striscia. Anche con varianti d’uso più ricche, come il folder (immagini che scorrono lungo una linguetta che viene tirata) o la clip che arpiona la pagina. Ben dieci pannelli, altrettanti diversi temi, con 94 prototipi. Si va dalle lussureggianti decorazioni di gusto orientale suggerite dal capsicum fastigatum, che altro non è che il peperoncino rosso, alle vere e proprie narrazioni, quasi strip in miniatura. Come la leggenda della cape du turchie, la misteriosa scultura in Bari Vecchia, intrecciata con la scopa della Befana.
O le storie di San Nicola nelle pale dipinte dai pittori baresi per il Corteo storico, cui si contrappongono visioni surreali della Basilica o del campanile della Cattedrale moltiplicato e volante, con esplicita citazione da Magritte. I simboli (ormai pressoché scomparsi) sui trulli ispirano una serie grafica di pura valenza segnaletica. Mentre sull’ordine astratto di antiche tapisseries vanno le decorazioni cavate da vecchie copertine di libri.

ACCROCHAGES

Combinazioni di immagini frammentate, accostate, ritagliate, affinità visive, multipli di elementi o di parti di un insieme senza altre alterazioni producono effetti di spiazzamento e ampliamento della realtà. (Dal comunicato stampa dell’Artoteca Alliance, 9 febbraio 1996).

LE SALINE

Questa vivace fotografa, dall’ormai lunghissimo curriculum, pieno di premi e riconoscimenti, ama usare la macchina fotografica anche come mezzo di studio.
Perciò è bene considerare le sue foto reali documenti.
Esse sono innanzi tutto tecnicamente pregevoli il geometrismo dei tagli compositivi: l’obliquità o le curve disegnate da rotaie e carrelli, l’impostazione orizzontale o verticale in consonanza e in contrappunto ai soggetti scelti a volta a volta, la ricerca compositiva coloristico-luminosa e la calibratura dei rapporti di dimensione dei vari elementi, come volume e come colore. Vorrei raccontare le immagini diversissime ove i cieli sono tutti diversi: uniti di piatto pervinca, azzurri velati da nubi sfrangiate evanescenti, amplissimi di un tenero celeste che si specchia nell’acqua rosata; cieli raggiunti da monti ruvidi, da monti candidi o grigiastri o scagliosi, irti o compatti o scolpiti in calanchi verticali su cui la luce si aggrappa, o brulicante di piccoli escavatori – rossi, gialli e verdi giocattoli infantili.
Invece non sono giocattoli, sono escavatori veri, guidati da uomini veri, abbronzati dal caldo sole, che il costante vento della Salina mitiga appena, animando col suo respiro salmastro e la lieve voce il pesante silenzio.
Qui si perde il senso delle reali dimensioni delle cose e degli uomini. Gli spazi, le montagne, i ponteggi, i macchinari, tutto è enorme e, dall’alto delle strutture metalliche, l’orizzonte appare sconfinato. (Maria Letizia Verardi, presentazione in catalogo, Margherita di Savoia 1986)

Tra documento e sogno
Anna D’Elia su La Gazzetta del Mezzogiorno, 22 ottobre 1986

Tra documento e sogno, le fotografie di Luciana Galli sulle Saline di Margherita di Savoia vivono la dimensione del reale e dell’irreale. Ad esprimersi è la doppia anima dell’autrice, che quanto più fa leva su un linguaggio geometrico dai tagli rigorosi e dalle inquadrature regolari, tanto più esprime la sua passione metafisica.Le immagini vivono in una sospensione magica, che le pone fuori di ogni tempo o spazio definiti e le fotografie, esempio tipico di “documento creativo”, pur non venendo meno alla funzione di testimonianze, alimentano quella fame di evasione fantastica, che caratterizza ogni personalità creativa. L’autrice non nasconde la suggestione ricevuta dai luoghi, fotografati in ore e stagioni diverse, alla ricerca delle varianti minime capaci di caratterizzare questo posto dominato – come sottolinea la fotografa – dall’assenza totale di dimensione. Di qui l’effetto di spiazzamento  e spaesamento, che consente le fughe dal  reale verso i segreti dell’inconscio.

Le Saline

Italo Zannier su Fotologia n.7 -1987

Ogni immagine di Luciana Galli, al di là dell’inevitabile “documentazione”, è una pertinente, suggestiva figura retorica su questo habitat, che sembra appartenere a un pianeta alieno, ma che qui è proposto senza estetismi, bensì con un ottimistico residuo di fiducia nel potere del mass medium fotografia: per mostrare, spiegare e, se possibile, migliorare, cambiare…

PLASTICA, RIFIUTI E NO

Il significato di questa mostra si annuncia proprio dalla visione della fotografa Galli, intenta ad oggettualizzare tutte le forme che nella Plastica si reificano, diventano cose. Il nostro mondo di cose, ambivalenti, equivoche, belle finché collocate nell’utile, sgradevoli e invadenti fino a diventare rifiuto quando, perso ogni diletto, ce ne liberiamo, buttandole sui bordi delle strade, lungo le rive del mare, nel panorama delle periferie e delle campagne. Il centro focale – e perché no sentimentale e retorico – di questa corsa fra le immondizie, denunciata da Italia Nostra e documentata dall’obiettivo della Galli, sta nella carriola traboccante garofani, registro di femminili, caduche vanità, ma anche e insieme frammento di un perduto hortus voluptatum, sognato per l’appagamento dei sensi e il godimento dell’intelletto. Il percorso della passeggiata nel rifiuto inizia, invece, fra le curve del ferro arrugginito, ormai labile preistoria delle civiltà del consumo e si addentra nella foresta dei segni generati dalla Plastica nei linguaggi quotidiani, discendenti da genealogie di lattine, bidoni, vasche, buste, ossessioni circolari che s’incastrano in strani incesti fra tecnologie e materia, natura ed artifici. Fino alla Città, dove l’Apocalisse non precipiterà mai più dall’alto dei cieli con il suo travolgente spavento a far giustizia del “bello” e del “brutto”, ma si consuma già nei Rifiuti di tutti i giorni, sull’orlo di bidoni traboccanti, nel sonno dell’Uomo sul Marciapiede, vuoto a perdere. Ci sembra, attraverso le fotografie, tutto abituale. Il brutto perfino fotogenico, come si usava dire per la miseria. Con una differenza, forse: la plastica non invecchia, non assorbe ricordi, non rivela malinconie, non trasforma tonalità di colore. Non agonizza e non muore, come il legno o la pietra e gli uomini. Essa resta fuori dell’Organismo vegetante – suggerisce la scrittura fotografica di Luciana Galli – quindi materia privata di storicizzazioni. Non si trasforma e non rinasce. Come a dire il No Universale. (Emanuela Angiuli, invito alla mostra, 1.12.1985)

Due mondi nella piscina
Anna D’Elia su La Gazzetta del Mezzogiorno, 16 dicembre 1985

Plastica e pietra. Plastica e campagna. Plastica e città. Potremmo mai fare a meno della plastica? Basta dare un’occhiata in giro per rispondere subito: no. Se vogliamo andar cauti e ricominciare da capo non va persa un’occasione preziosa. E’ la mostra fotografica di Luciana Galli a Santa Scolastica di Bari organizzata dalla sezione barese di Italia Nostra. L’autrice compie un viaggio nel tempo e nello spazio sulle orme di civiltà perdute, lontano nel tempo fino all’era del ferro e della pietra. Ironia e gioco di metafore non mancano nella sequenza che dai “primordi” arriva fino a noi, alla città e alla tecnologia, con cui la plastica può – infine – trovare la sua sublimazione collaborando alla ricerca spaziale. Dentro il Museo della Scienza di Washington la Galli fotografa l’ultima navicella di ritorno dal cosmo e si riappacifica col mondo artificiale della celluloide che invade le strade di rifiuti, deturpa i monumenti con lattine, contamina il verde con rottami, invade le città di rifiuti non biodegradabili. Eppure lo sguardo fotografico di Luciana Galli di rado è accusatorio. Più spesso le sue immagini sottolineano certi particolari decorativi, anche casuali, che legano alle lingue auliche, come i monumenti, le espressioni popolari.

Fotografie nella loro realtà sociologica
Santa Fizzarotti sul Quotidiano di Puglia, 18 dicembre 1985

La storia della plastica non è altro che la storia del Novecento, del secolo che ha conosciuto le grandi rivoluzioni del pensiero scientifico, del pensiero filosofico, del pensiero psicoanalitico; l’arte è sintesi problematica delle varie situazioni culturali, è filtro magico capace di svelare i segreti più reconditi del pensiero, è possibilità di salvezza. Luciana Galli ha fotografato il cammino dei derivati dell’oro nero, del petrolio che garantisce i processi produttivi della civiltà occidentale: le immagini fotografiche dell’artista sono rigorose e precise, studiate in tutti i dettagli, ricche di accesi cromatismi che sottolineano la malinconia dei contenuti.La fotografia diventa così un modo per denunciare lo stato delle cose, una modalità per analizzare gli aspetti conflittuali del nostro tempo, un’occasione per ritrovare la coscienza, una spinta per cambiare.Il gioco dell’ambiguità fra ciò che è vero e ciò che è falso, tra il naturale e l’artificiale, fra il bello e il brutto, costituisce il tessuto su cui lavora l’artista che non cerca nulla se non la poliedricità relativa della verità.

TOYS

Giovanni Giustiziero, agricoltore di Maglie nel Salento, finì in ospedale e cominciò lì ad intagliare nel legno i suoi giocattoli, non immaginava certo che il suo hobby dovesse finire per attirare il mondo degli intellettuali. La chiamammo, diversi anni fa, “arte dei poveri”. Ci interessavano allora varie forme di creatività espresse da aree di cultura emarginate, subalterne o sommerse. Erano i tempi in cui fiorivano le ricerche di taglio antropologico, in qualche modo alternative ai modelli della civiltà industrializzata. E’ invece proprio con l’occhio educato alla comunicazione estetica urbana, che oggi la fotografia di Luciana Galli riscopre quegli oggetti e li ricicla nelle visioni lucenti del Cibachrome. Lo stesso titolo della raccolta Toys, connota questa assimilazione all’interno dei linguaggi ludici “moderni”. E’ un recupero che avviene, fondamentalmente, per il tramite di un metodo proprio delle avanguardie storiche: il processo di spiazzamento. Spiazzamento delle dimensioni: le parti dei carretti, scivoli, pinocchietti mobili nati dalla fantasia artigiana di Giustiziero vengono ingrandite e non-relazionate. Assumono l’astanza (direbbe Brandi) di frammenti estrapolati da un “continuo” pittorico o da illimitate strutture astrattive. Spiazzamento dell’immaginazione: i tocchi di colore primario sul ruvido legno trasmutano la loro consistenza materia nelle piena luminosità della carta fotografica, che si propone come pura superficie bi-dimensionale. Spiazzamento della funzione: nei giocattoli contadini il colore serviva, con le sue dissociazioni e i suoi puntillismi accesi e istintivi, a conferire ricchezza decorativa, dignità fantastica alla materia umile e all’oggetto semplice. La fotografia esalta invece piani familiari alle grandi invenzioni dell’arte: la vibrazione post-impressionista del colore sino alla gestualità informale, la strutturazione primaria che trascorre dal costruttivismo alla pop-art. E si integra, infine, nel molteplice sistema della comunicazione segnaletica urbana (dalle insegne alla pubblicità). E’ un lavoro, quello di Luciana Galli, di appropriazione per analogia e per metamorfosi. Una metamorfosi opulenta, che riporta la paziente intuizione manuale dentro l’emozione “borghese” dell’immagine. E’ come scoprire le costanti del Grande Gioco: la felicità sorprendente ed eccitante del colore che virgola e gocciola, l’epifania del segno che traccia cerchi magici, greche e ondulazioni senza fine. Le strutture dell’immaginario.
(Pietro Marino, presentazione della mostra Toys)

Dall’uomo Gutenberg all’uomo elettronico
Anna D’Elia su La Gazzetta del Mezzogiorno, 9 ottobre 1983

Le fotografie di Luciana Galli, più che in diretta relazione col mondo reale, sono in rapporto con un’altra dimensione creativa: l’artigianato artistico. Nel mirino della fotografa barese entrano le decorazioni fantasiose con cui un vecchio artigiano pugliese, Nino Giustiziero di Maglie, dipinge i suoi giocattoli d’un tempo: carriole, altalene, pulcinella…
La patina luccicante di queste immagini, la giusta inquadratura, la superficie compatta del colore, nobilitano le decorazioni di partenza, trasformando la pittura povera di Giustiziero in sofisticato still life. I rapporti cromatici dettati dal gusto popolare, nel nuovo codice, quello fotografico, si riempiono di nuovi significati. Luciana Galli dimostra come il sistema in cui l’immagine è inserita contenga già tutta una gamma di valori che coincidono con le attese, i modelli e la cultura del destinatario.

PUGLIA

Il rigore della tecnica usata da Luciana Galli, evidentemente congeniale al suo stile, anziché limitare le sue possibilità espressive riesce, al contrario, a sottolineare le sue notevoli doti di sensibile e personalissima interprete del paesaggio meridionale.
Il tentativo di indagare – anziché solo rappresentare – si fa più consapevole quando la Galli sceglie di isolare dal contesto un dettaglio sino a renderne difficile l’identificazione, apparentemente snaturandolo, quindi, in effetti, cogliendo il senso più profondo di una realtà più ampia. Un’operazione apparentemente riduttiva – la limitazione, cioè del soggetto a un particolare, e spesso molto umile – le consente quindi in alcuni casi di andare molto al di là della semplice rappresentazione dell’oggetto contingente e indica forse nuove prospettive per il suo lavoro. (Franca Rossi Chiaia, invito alla mostra all’ Art Directors Club)